Quelli che ci propone Fortuna Della Porta sono versi di alta ispirazione. La silloge si intitola “Io confesso” e già s’intuisce in quale direzione la Poetessa intende indirizzare il suo discorso poetico. Ma attenzione: nessuno slancio di tipo sentimentalistico, solo lucidità e fermezza.
Fortuna riconosce che scrivere di poesia per lei è la vita stessa e non farlo significherebbe perdersi, anzi, per lei vale “scrivo dunque sono; penso, mi trovo”.
Il libro si compone di otto sezioni: Erotica, Moritura, Languida, Ontologica, Io confesso, Vernacola, Avanguardia e Congedo. Tutte le sezioni sono intrise di delicata sensualità che appare costituire l’essenza stessa dell’anima della Poetessa che, rabdomante del suo sentire, nella radice dell’anima appiglia la vena…
Alcuni titoli delle sezioni vanno in questa direzione: Erotica, Languida mostrano appunto languore, carne ruggente, sensi vivi che sanno partecipare della realtà pur faticando a riconoscere i contorni netti della contemporaneità. La Poetessa percepisce ciò che la circonda in una sorta di dormiveglia, di anestesia, di letargo del sonno e di trasognamento, avvolti ora dall’ombra, ora dalla notte complice, mentre vigile è la presenza della Natura: il camaleonte/Nella boccia alata della mia bocca, Nel giglio della mia pupilla fino ad arrivare all’orgasmo del cosmo.
Legato al tema della Natura è quello della morte sulla quale la Poetessa medita a lungo, per esempio nella sezione intitolata “Moritura”, in cui afferma che la Natura accoglie il suo sepolcro (Ode pour l’élection de son sépulcre): Clio…/Accerchiala di tua mano al fico d’india là in cima…
Si ripete continuamente la metafora del bosco, “selva selvaggia aspra e dura” dove è facile perdersi e non ritrovarsi. Simbolo della propria interiorità ricercata e dell’inconscio che desidera risalire dall’abisso delle deformità dell’’io.
La poetessa dichiara apertamente il suo percorso evolutivo: dissociata dalle regole, ribelle, rinata all’alba da un dormiveglia metafisico, se i giorni si perdono, la parola, non-parola s’ammuta e la crisi del linguaggio è inevitabile.
Consapevole delle proprie trasformazioni, del passaggio inesorabile del tempo, del limite della ragione, giunge all’inevitabile denuncia: Non è neppure tempo di arte e di grazia.
Questa silloge costituisce un’ottima ed intensa lettura per i temi trattati e soprattutto per lo stile personalissimo, mai banale e superficiale di Fortuna che ricerca con originalità ricche musicalità e assonanze.