«Non dormo e ho occhi aperti per te, / guardo fuori, guardo intorno, /com’è gonfia la strada di polvere e vento, /nel viale del ritorno. (V. Capossela, Ovunque Proteggi)»
Sfumature: accennate, percorse, graffiate, sublimate, questa è l’essenza del viaggio di Fortuna, in una confessione sincera e acuta, dinamica e, a tratti, perfino sfuggente, oltre la letteratura, oltre la letterarietà soprattutto.
Io confesso, ultima raccolta poetica dell’autrice (campana d’origine e romana d’adozione), rappresenta realmente un’interessante prova d’autore nel panorama poetico contemporaneo: le otto sezioni (una delle quali dedicata all’esperienza vernacolare), ospitano altrettante prospettive, tutte improntate al labor limae, attraverso ‘escursioni linguistiche’ e giochi vernacolari, al ritmo talora di un tango, una bossanova o di un valzer.
L’essenza del testo non ha un confine circostanziato, non ha una collocazione specifica fra i paragrafi: emerge a più riprese, tra un aggettivo inatteso e un tagliente punto interrogativo, tra un enjambement fulmineo e un sostantivo vitale.
Raccolta raffinata e sfaccettata, intensa, che tenta una costante sinergia tra forma e contenuto, tra attesa e compimento, tra luogo e spazio interiore: oso (ma, credo, con fondato sospetto), che Fortuna cerchi una dimensione ‘dialettica’ tra forma e contenuto, tra lettore e testo, oltre il concetto della poesia come universale, paradigmatica.
Vicina a certe immagini ‘care’ a Kiki Dimula, immediata ‘al gusto’ ma sofisticata per la mente, Io confesso è operazione intessuta, ricercata ma senza esasperazioni, senza violenze, a cui il lettore può partecipare, ma non può, soltanto, assistere; l’interrogativo giunge autorevole a chiedere risposta, a cercare riscontro e a sollecitare la coscienza, l’individualità.
Lettura consigliata a chi voglia sperimentare una poesia che, audacemente, si compie tra il primo e l’ultimo verso, non ad ogni componimento separatamente: il percorso è irregolare e affascinante, vitale, oltre le forzature retoriche. Perché ‘poesia’ è atto, è pratica, non meno che pensiero, non meno che volontà. Il gioco fra modelli letterari e individualità, non smette mai di privilegiare l’elemento creativo, di ordire uno stupore, anche individuale, purché genuino, spontaneo, -primitivo in un certo senso-: senza schemi, come in una ri-scoperta poetica costante e quotidiana, tra versi e vita, per i versi come preziosa forma di vita.
“…se non scrivo di poesia non penso. Non mi trovo.” Non possono, certamente, questi pochi versi inseriti nella “Premessa” del libro “Io confesso”, essere l’esplicazione della poetica di Fortuna Della Porta, ma sono, senz’altro, il surrogato della sua indole, del suo pensiero. Fortuna ci regala fiotti di parole che sgorgano dal suo animo, s’inanellano sulle sue labbra e si configurano in geroglifici che noi, a nostra volta, sorseggiamo e deglutiamo nutrendoci di poesia. È il ciclo spontaneo e piacevole della fruizione di un bene che è difficilmente quantificabile e che rifugge da ogni tentativo di scientifica catalogazione.
Una domanda da sempre affligge chi di poesia vuole scrivere, chi la poesia intende indagare, chi, ad ogni costo, esige razionalità per poter capire: “Perché si scrive poesia?”. Fortuna offre una risposta. Non sarà certo sufficiente a chi pretende spiegazioni a tutti i costi. Ma a noi che soffriamo quando il vuoto ci penetra, a noi che fatichiamo raggrumando sillabe degnamente incastonate, a noi che proviamo un qualcosa di simile all’orgasmo adolescenziale quando ripercorriamo con la mente il verso che l’anima ci rigurgita nel cervello, a noi che godiamo quando a cullarci è la perfetta melodia dei versi di chi ha saputo, a noi …
A noi Fortuna ha dato una risposta esauriente.
Nel suo libro ha ritrovato se stessa nei diversi aspetti che compongono l’identità femminile e ce li ha raccontati; ma la ripartizione è puramente grafica perché l’anima non si suddivide. In ogni sezione temi e motivi si rincorrono; l’ironia, l’umiliazione, la dannazione sono miraggi, sono necessità, l’incomunicabilità è prigione, è tempesta. Il dilemma, sempre presente, ci riconduce alla poesia.