Per riuscire a valicare l’architettura creativa del poeta bisogna premunirsi di uno spiccato spirito duttile e astuto; diventare una Penelope ermetica e silenziosa che si lascia attraversare, con pacata follia e virtù amorosa, dagli innumerevoli versi come stratagemmi o corteggiatori che le balzano incontro. Così come Ulisse che si svela ora uomo, ora luce sacra, la poesia di Fortuna Della Porta, nel suo ultimo lavoro per la collana Gral, LietoColle, 2012, arriva incarnazione densa del mito e reinventa il destino umano con la capacità di dare lettura del rovescio di una storia che ritorna per le generazioni liberate dalla polvere del passato. Per noi, lettori/Penelopi, il linguaggio qui assume il ruolo epifanico di un’apparizione che non si limita a suggerire verbalità fonetiche dei dialetti campani, ma traccia guizzi di sguardi snodati simili a esercizi asimmetrici in riferimento a memorie infantili, a cadenze, a canti quasi corporali, come ballate rappresentate in una mimesi che sembrano ricordare Valéry e le sue ‘transitions’. Ci si trova di fronte a una poesia che rimodula la trama stilistica: il significato trascende lo stesso atto poetico sormontando ogni rituale magico che rischia di intaccare il reale e i rapporti interpersonali. Sono le lingue che formano i paesaggi intimi e gli spazi culturali su cui l’uomo ha prodotto le intenzioni più ambigue e segmentate delle proprie esperienze. Le traduzioni linguistiche hanno tentato di oggettivare e omologare le diversità emozionali e pensanti di numerosi individui che, nella lingua, avevano già scritto la propria sorte con tentativi, spesso maldestri, di conservarne, il quadro intellettuale. Della Porta è una voce narrante del venturo dell’umanità e, del suo presente, ne denuncia i moderni individualismi e le stereotipate convenzioni. Attinge alle esperienze assimilate per creare un’altra inevitabile quotidianità: considera la poesia ‘seme’, ‘costruzione’, ‘matrice che permette il cambiamento possibile’ conservando il pensiero e il ‘modo di esistere’ del passato. Il mutamento sociale è nell’atteggiamento del tempo che passa inesorabile, quindi, che non può svanire senza aver lasciato in noi la traccia della passione vitale verso l’estetica del frammento, della conoscenza, dell’accumularsi dei saperi che ci consentono di sfuggire ai miseri limiti della materialità e della superficialità.