Pochi sono i poeti che hanno padronanza di linguaggio, spessore nel sintagma, nitore del verso: Della Porta in Mulinare ha trovato un verso orizzontale, simmetrico, espanso e talvolta precipitante in sghimbesce manovre di nessi e incastri. Ha portato i fasti del mare in un inquietante diapason di memorie e miti, di sortilegi, di sponsali, sempre mantenendo la rotta e non scambiando le parole per coltelli taglienti: Ho vinto tutti i mari per approdare/ a questo tramonto di distanze; ha fatto della parola un grillo parlante: …lontana da esse, mi crescono/ tra i labbri le medesime rughe e le paure/ che tremano tremano nelle tue pose rudi. (Mare nostrum). Della Porta più e meglio del calabrese poeta Calabrò ha cantato il mare con accenti di una bellezza inusitata in un frastagliato ed ellittico sogno.
Questa poesia irriducibile e ampliata può toccare ogni latitudine, ogni misura e non ripiega mai in abbacinate schermate che riprendono idoli e intimismi di luccichii oramai fuori di obiettivo snervanti e anchilosati.
La duttilità del linguaggio che è poi classico mostra come Della Porta avverte una realtà sua e mostra la realtà della storia attraverso un occhio stupefacente e romantico.