‘Non nova sed nove’. Certo: non cose nuove, ma in modo nuovo. Questo cercano i poeti. Di questo ha bisogno l’uomo. Ha bisogno di guadagnarsi sempre nuovi traguardi. Altrimenti, come un bambino perspicace, si annoia: si ottunde il suo senso sempre vivo di curiosità e di ricerca. In poesia, come nelle altre arti, si accende il desiderio mai sopito del poeta di perlustrare possibilità di linguaggio accessibili al nucleo segreto del dire e del fare, quando lo stile del suo ‘habitare’, provvisorio sempre lungo il cammino, si evolve in architetture diverse di dimora.
Distaccarsi dalla monotonia del monocorde, diventare ‘plurimi’ (lo suggeriva già Roland Barthes).
Ecco che Fortuna Della Porta con questo libro, ‘Gramaglie e Frattaglie’, fresco di stampa, già nel titolo e nella figurazione di copertina evocando assiepati mondi di Arcimboldo, che per programma a questo aspetto di eccezionalità di visione apertamente si dichiara, innalza il suo personale ‘monumento’ alla parola.
Parola assiepata, parola costruita nel flusso istintivo dell’inconscio, posata sulla pagina e data dalla voce sonora ai ritmi che muove.
Già temperamento di veloce andare, la poetessa si è un poco fermata, per costruire qualcosa che apparisse in altezza, sopra il largo raggio di respiro orizzontale. Non come una nota di lingua classica, voce soprano. Più come un suono di lingua nuova o ‘diversa’, d’eccezione, magari sofisticata, di castrato.
F.D.P. ha abbandonato l’atteggiamento della normalità discorsiva, di ripiegamento speculare del proprio io, sempre comunque in cerca di intensità, per cavare in strutture inattese una spremuta di sostanza invasiva, da viscere interne, ai margini dello sconosciuto. Ha indagato e sperimentato terre e acque fertili, vi ha lavorato per ricavarne germogli di natura mai visti prima.
Questo fa parte del creare: ex-novo.
“Gramaglie e frattaglie”: segnali di rito, lutto e cibo (quotidiano intimo consolatorio). Serietà e ironia in alternanza. Lingua morta per una resurrezione dello spirito vitale.
Questa scrittura di F.D.P., scrittura inedita, non assomiglia neppure a se stessa, nel senso che tutto ciò che era apparso prima, da lei prodotto, fa da apristrada a questo sciogliersi e ‘aprirsi di pista nella neve del sensibile’, sgominando ostacoli. Un libro che sembra uscito dagli scaffali della Biblioteca di Babele secondo auspici Luis Borgesiani.
Parole in movimento pullulano avvoltolate, le une tinte alle altre, corpo compatto deciso a sciogliere il gelo esterno che vi preme. Lingua difficile. Parola non di comunicazione comune, strutture complesse della forma nella scelta del dialetto. Armonioso dialetto. Solo con questo ‘malto’ di base F.D.P. poteva cementare, dalla confusione intraverbale degli idiomi, la sua costruzione di lingua ‘babelica’. Con mezzi soliti, in lingua italiana, non avrebbe potuto raggiungere questo risultato di linguaggio estraniante (in fondo, tutto sommato, comprensibile). Anche se questo comporta uno sforzo ulteriore per il lettore che voglia captarne il senso musicale. Ne vale la pena. La voce di lettura sul CD, che accompagna il libro, diventa indispensabile, chiarifica tutto. La forma compatta della lingua in corso di espressione si concentra nello sforzo di afferrarne lo spirito fuggitivo, il timbro di voce da comunicare. Non è essenziale capirne le significazioni. Diventa importante non tanto ‘quello’ che si dice, ma ‘come’ lo si dice.
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Lingua difficile, dunque, per concludere. Oscure parole d’oracolo. Mescolanza di termini estranei al linguaggio noto, dialetto, latino, parole d’invenzione, connessioni intraverbali allacciate alla normalità di risorse dialettiche individuali. Struttura insolita, disegno complicato, con effetto finale chiaro da tutti i lati. Non ci sono dispersioni d’immagine. Ogni punto della costruzione, ogni segno, con il soccorso dell’arte nei quadri che accompagnano i testi, è rilevante in funzione dell’insieme. Tutto fruibile. Niente si perde. Nell’agglomerato del linguaggio, spesso di gusto accumulativo, quasi esoterico, o fanatico, la materia di ciò che è esclusivo, o privato, si massifica, si rende solida al durare. Niente più da erodere, niente da tagliare fuori. Strofe compatta, parola fiera. Dura come pietra.
Così, encomiasticamente, F.D.P. si è slacciata dal suo ‘io’ personale per darsi tutta in consistenza di natura nutrice. La sua lingua parla per lei. -‘Eccomi qui, mangiatemi’.
Una semplice ‘plaquette’, questa, non più di tanto poteva dilungarsi tale concentrazione. Un esempio di piccolo capolavoro della memoria fattrice.