La letteratura, in generale, la poesia, in particolare, sono davvero un continuo viaggio fra “scrittura diurna” e “scrittura notturna”, (riprendendo un’idea cara a Claudio Magris), in cui l’autore tende a ripetere ciò che sussurrano o gridano i suoi “demoni” palpitanti al fondo del suo cuore, ancorché suggeriscano perfino parole pronte a smentire valori e dèi presenti nella voce diurna del poeta.
Ogni poeta ha il suo alfabeto, asserisce Fortuna Della Porta nel magnifico Le vie dell’anima, uno dei migliori componimenti della sua recentissima raccolta poetica, offerta come un dono ai suoi fedelissimi lettori col titolo La sonnolenza delle cose,per i tipi e sotto le cure LietoColle, a suggellare oramai una lunga fedeltà a una poesia come luogo insostituibile, ineludibile di elaborazione di strumenti interpretativi della presenza dell’uomo nel mondo.
Nasce un fiore nel cosmo e la chiamano terra…così Della Porta in Principio, in cui sfatta dal tempo, reca nel sangue la sua genealogia, quasi a proporre una poesia capace di guardare osservare, declinare il suo stesso dolore, svelando la luce rappresa nelle cose:
Mi preparo dal primo vagito, / quando il dolce fiato mi cadde /di schianto sulla pietra della terra / imparai l’arte del commiato (Tregua pag. 71), è lo sguardo che tocca il proprio apice nel puro evento anche quotidiano dal quale si alza la metafora sulla pietà di sé, nel desiderio di parlarne.
Poesia moderna ma dal respiro antico questa di F.D.P. che si è fatta avara anche di punteggiatura, come se fosse superflua, superata, persino inutile a catturare il suono della vita sempre più imprendibile e sfuggente.
Cassandra è maledetta. Erba strinata e livide occhiaie/ abitano il mio castigo. / Nessuno mi intende.
Un monologo drammatico nel quale la poetessa ausculta la psiche, ma nella speranza ardente di coglierne il ritmo, il rimbombo, la musica da ri-proporre al logos per farsi parola, chiara e diretta. Un dardo d’oro nell’occhio dell’uomo.