“…se non scrivo di poesia non penso. Non mi trovo.” Non possono, certamente, questi pochi versi inseriti nella “Premessa” del libro “Io confesso”, essere l’esplicazione della poetica di Fortuna Della Porta, ma sono, senz’altro, il surrogato della sua indole, del suo pensiero.
Fortuna ci regala fiotti di parole che sgorgano dal suo animo, s’inanellano sulle sue labbra e si configurano in geroglifici che noi, a nostra volta, sorseggiamo e deglutiamo nutrendoci di poesia.
È il ciclo spontaneo e piacevole della fruizione di un bene che è difficilmente quantificabile e che rifugge da ogni tentativo di scientifica catalogazione.
Una domanda da sempre affligge chi di poesia vuole scrivere, chi la poesia intende indagare, chi, ad ogni costo, esige razionalità per poter capire: “Perché si scrive poesia?”.
Fortuna offre una risposta.
Non sarà certo sufficiente a chi pretende spiegazioni a tutti i costi.
Ma a noi che soffriamo quando il vuoto ci penetra, a noi che fatichiamo raggrumando sillabe degnamente incastonate, a noi che proviamo un qualcosa di simile all’orgasmo adolescenziale quando ripercorriamo con la mente il verso che l’anima ci rigurgita nel cervello, a noi che godiamo quando a cullarci è la perfetta melodia dei versi di chi ha saputo, a noi ….
A noi Fortuna ha dato una risposta esauriente.
Nel suo libro ha ritrovato se stessa nei diversi aspetti che compongono l’identità femminile e ce li ha raccontati; ma la ripartizione è puramente grafica perché l’anima non si suddivide.
In ogni sezione temi e motivi si rincorrono; l’ironia, l’umiliazione, la dannazione sono miraggi, sono necessità, l’incomunicabilità è prigione, è tempesta.
Il dilemma, sempre presente, ci riconduce alla poesia