In questa settima prova poetica -Metafisica dello zero- Fortuna Della Porta fa ritorno agli sfarzi della Parola non meticciata né contaminata dal grigiore diffuso della koinè massmediale: una parola “parlante”, viva e carica di possibilità rivelatrici, ma altresì presidio della libertà e della dignità dell’uomo, smarrito, in questa stagione decadente, chiassosa e volgare della Storia in cui le storie personali, quotidiane, s’annegano e si disperdono.
Per tale carica semantica ed emotiva, giustamente Lidia Gargiulo avverte il lettore, in prefazione, che “…Metafisica dello zero non è pensato per la confraternita dei cultori del dialetto, ma per ogni lettore di poesia…”, ancorché l’autrice torni alla lirica in dialetto campano, ma sempre fedele ad un esito estetico dell’opera come risultato di una doppia possibilità: un impianto dinamico e un impegno contemplativo, come se il destino umano e i misteri che avvolgono la nostra vita (in una Weltanschauung  assai cara alla Susanna Tamarro del recentissimo “Ogni angelo è tremendo”) dipendessero inaggirabilmente dalle tre domande d’ogni tempo: Dove si nasce? Quando si nasce? Da chi si nasce?
Dinamismo e contemplazione che se per un verso rendono visibile ciò che non lo è, per l’altro rendono conto delle pulsioni sottostanti all’atto creativo, tendendo alla grandiosità dell’arte religiosa, se il fondo ideologico di F.D.P. -lungo l’asse pascoliano- crepuscolare, con respiri tra i versi della colloquialità sabiana- supera il dubbio  sulla oggettiva consistenza del mondo che l’autrice sente come epifania del divino, con un guasto betocchiano di magrezza di immagini e di chiarezza figurativa quasi primitivistica. Ma sempre in una permanente “sorpresa” su paesaggi, uomini, alberi, piante, animali. (esemplare “un cavalluccio all’acqua”) come presenze nei luoghi dell’infinito e schegge lanciate nell’eternità; perché per il poeta ogni oggetto in sé chiude e irradia luce…