In questa sua ultima raccolta la poetessa affronta il tema dell’esistenza attraverso la metafora del mare, come lasciano intuire i versi del prologo che recitano: “Mare dalle lunghe ombre / mi affretto. / Sciolgo i piedi e la piena / quieto del mio respiro. (…) Abbraccio i fiati altrui / gli animali e le costellazioni / e le pietre che servirono / a lastricare un passo e poi subito l’ultimo.”
Coerentemente con questa scelta le poesie del volume hanno titoli come “Bonaccia”, “Mare nostrum”, “Naufragi”, “Le acque dell’umanità”, “I confini del mare”, ma si incontrano anche titoli che si richiamano ad opere letterarie, come “Porto sepolto” (lirica che riprende il titolo di una raccolta di Ungaretti) e “Moby Dick” (la lirica che chiude la raccolta e che si richiama al famoso romanzo di Melville).
Nell’introduzione al volume Gianmario Lucini individua tuttavia altri temi che si intrecciano con quello dell’esistenza come “viaggio per mare” e rileva che:” Il mare viene quasi antropomorfizzato e l’Io poetico finisce col con-fondersi, anche fisicamente, con il mare stesso, in una sorta di continui rimandi, quasi una fusione o una con-fusione che ruota intorno a domande anch’esse cangianti, inafferrabili, inesprimibili. Il risultato è come una sospensione, un sogno da svegli. Una specie di altro-mondo, dal quale il mondo vero, che peraltro si affaccia in pochissime occasioni, viene violentemente estromesso (in Rotta cieca ad esempio) o stigmatizzato. È un mondo vuoto, sguaiato, incapace di ispirare senso. Restano le lunghe ombre della sera della vita, nella loro dura inconsistenza, che paiono alterare la percezione stessa, in una sorta di bizzarra deformazione del reale, avvertita nella dimensione spirituale e anche in quella sensoriale.”