Quando il potere spinge l’uomo all’arroganza, la poesia gli ricorda i suoi limiti. Quando il potere restringe il campo dei suoi interessi, la poesia gli ricorda la ricchezza e la diversità della sua esistenza. Quando il potere corrompe, la poesia purifica.
Sulla scia di Gianfranco Ravasi, ho adottato le riflessioni di J. F. Kennedy del 1963, fatte davanti agli studenti dello Ahmerst College, pochi mesi prima di essere assassinato, per entrare nell’aura e nelle motivazioni del volume di liriche Io confesso di Fortuna Della Porta, cogliendone il respiro vasto e la tendenza al superamento dei corti, e spesso meschini, orizzonti quotidiani, mettendo ali all’anima, come nei versi:
Ho affrontato il signore del Tempo
su un arco di meridiano…
E già da questo attacco di Umiliata, Fortuna Della Porta fa quasi una perentoria dichiarazione di poetica e indica i sentieri dove sparpaglia il sangue in tumulto, la carne che rifiuta l’oltraggio delle piaghe, l’offesa delle rughe, muovendo l’ars poetica su forme misurate, ritmi armoniosi e sicuri e immagini ben intonate alla sua misura di donna e di poeta, in un impressionismo autobiografico che nulla concedente né alla retorica della confessione sregolata né alle trappole sfumate del bozzetto.
La poesia di Fortuna Della Porta ingloba in sé i valori dello spirito e della idealità: scava nei recessi oscuri dell’animo umano e rivela -senza risparmio di forze né smarrimenti, ma in un’accettazione montaliana della fragilità del nostro destino terragno incentrato sul male di vivere – i nostri limiti, le nostre miserie, le piccole nostre morti quotidiane, spesso senza riscatti né resurrezioni.
Questa poesia, così, riesce a farsi unguento e resistenza contro la violenza universale, lo sgomento cosmico, la corruzione della coscienza (i mali più crudeli dell’uomo di ogni cielo e d’ogni condizione) perché essa varca i confini della nostra finitudine, sostenuta com’è da un’ansia d’eterno e d’assoluto e forte di quella capacità di mostrare lo stupore che s’alza da ciò che ci sta intorno. Sicché si fa mirabile, nel mistero vasto che ci avvolge, l’essere stesso che ci passa accanto, che incrocia il nostro sguardo di purezza e di libertà verso la prima luce<, quella che, nell’Omeros di Derek Walcott, mette in moto Achille e lo penetra dell’immensità del mare, perché contende alle tenebre sui Carabi lo spazio e il tempo della vita.
Con le otto sezioni che lo compongono, di cui una (Vernacola) in dialetto napoletano, Io confesso si propone come libro composito, complesso, polifonico: libro di verità dell’Io poetante, rapportate –con felice tensione lirica- alle verità del mondo, attraverso un linguaggio poetico asseverante il progetto artistico e morale dell’Autrice.
Con questo serio e appassionato lavoro, Fortuna Della Porta entra dalla porta principale nel Palazzo aureo della grande lirica italiana fatta dalle donne, a partire da Ada Negri e Sibilla Aleramo, agli esordi del Secolo Breve, per giungere al nostro tempo attraverso le voci di Antonia Pozzi e Margherita Guidacci, di Maria Luisa Spaziani e Alda Merini, di Maria Marchesi e Anna Buoninsegni, di Chiara Moimas e Anna Casalino, senza trascurare quella d’una delle più alte intelligenze poetiche d’ogni tempo, Cristina Campo, verso cui la Della Porta mostra notevoli affinità elettive per una comune visione del cosmo e della Storia, entro cui s’asserpa la sorte dell’uomo, del tutto simile a quella del ragno…
Mettendo un piede in fallo, anche il minimo strappo nella ragnatela può essere fatale, benché la poetessa si aggrappi alla potenza rivelatrice della Parola tra spaesamenti e estasi:
Parola, mia Parola,
 tu che sei altro
persino da un fiore
come puoi dirmi
quanto costa un dolore.